Titolo: Red Girls
Autrice: Sakuraba Kazuki
Casa editrice: E/O
Anno di pubblicazione: 2019
Pagine: 480
Prezzo: 19,00 €
Saga familiare che narra di tre generazioni di donne nel dopoguerra giapponese, Red Girls mescola elementi di realismo magico e di giallo, la storia di una famiglia e quella di un paese provato e in profonda trasformazione.
Nel piccolo villaggio di Benimidori, Man’yō è un’orfana nata con il dono della chiaroveggenza, che dovrà proteggere come un terribile segreto. La sua vicenda si intreccia con quella della ricca e potente famiglia Akakuchiba, proprietaria di un’importante fonderia sulle montagne, e del suo complicato erede.
La figlia di Man’yō, Kemari, è estremamente creativa, disegna manga e trascorre la sua giovinezza ribelle insieme a una banda
di motocicliste per cercare la sua strada nel mondo.
È Tōko, la figlia di Kemari, a narrarci questa storia: una autoproclamatasi “inutile” giovane donna, che non sembra avere ereditato le facoltà della nonna o il talento della madre, ma che si impegna a ricostruire le avventure, le disgrazie e gli amori della sua famiglia e a risolvere il mistero delle ultime parole pronunciate da Man’yō in punto di morte: «Sono un’assassina».
Il destino complicato di queste donne, raccontato in uno stile sognante da una voce capace di suscitare le più profonde emozioni, si unisce e forse riflette in un cinquantennio di drastici cambiamenti quello del loro paese, il Giappone.
Il modo in cui viviamo e le scelte che facciamo determinano il nostro futuro.
Red Girls è una saga familiare autoconclusiva che narra le vicende delle donne della famiglia Akakuchiba. La narrazione è distribuita in tre capitoli e le protagoniste sono Man’yō, Kemari e Tōkō, colei che vuole dare voce alla loro storia.
La lettura mi ha lasciato perplessa data la diversità di stile dei tre capitoli, ma leggendo la postfazione, si scopre che questo è un effetto voluto dalla stessa Sakuraba Kazuki. Il risultato che otteniamo è un mix in cui si vuole ricreare nell’ordine un romanzo storico, uno shōjō manga e un mystery. Avrei preferito uno stile più omogeneo ma è da apprezzare il tentativo di innovazione dell’autrice.
Il capitolo che ho preferito è quello dedicato a Man’yo, madre di Kemari e nonna di Tōkō. Le atmosfere sembrano quasi magiche, e in certi punti, ad esempio dove si parla della fonderia, mi ha ricordato il film Mononoke Hime dello Studio Ghibli. Purtroppo nessun personaggio mi è apparso ben caratterizzato dal punto di vista psicologico e di conseguenza è stato difficile affezionarmi a loro.
L’autrice mette a confronto tre generazioni di donne che oppongono resistenza a un Giappone in costante mutamento, infatti,le descrizioni delle vicende storiche e sociali fanno da sfondo alla storia. Nonostante la precisione dell’autrice, purtroppo mi è sembrato solo un elenco di nozioni fini a sé stesse che non si amalgamano con lo scorrere della narrazione.
Mi ero avvicinata a questo libro con tante aspettative ma purtroppo il mio è un NI.
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